Dove finisci tu ed inizio io. Mamma e lavoro.

Eccoci qui, pare che ci siamo… di nuovo. E’ arrivato il momento in cui vorrei scegliere di volare professionalmente e il prezzo per poterlo fare è tanto tanto alto. Si chiama tempo con e per loro, si chiama guerra dei ruoli, si chiama terremoto in famiglia. Qualche anno fa ho scelto la famiglia prima di tutto e in quel momento è stata la decisione giusta credo. Ma la vita è talmente dinamica ed incontrollabile che se le cose devono cambiare ancora un milione di volte non c’è modo di non farlo accadere. A meno di una totale castrazione.

E io ho provato a trasformarmi, scientemente serena nel farlo, in una persona che non sono. Non ha funzionato. Nonostante la meraviglia di quello che ho vissuto e tutt’ora vivo, la lavoratrice entusiasta ed ambiziosa che è in me torna fuori. E scalpita. Cerca vie di fuga, cerca sfide… e le trova. Di nuovo.

Dovrei fare una quantità non ben definita di “premettendo che”… ma diciamo solo che in questo post mi riferisco ad una situazione nella quale il lavoro non rappresenta solo una necessità, ma una scelta, un modo di essere, una finestra sulla parte più autentica dell’anima.

DSC_4791Io amo il mio lavoro. Ho bisogno di mettermi di continuo alla prova, di non fermarmi, di vedere cosa c’è dietro l’angolo. Di lasciarmi assorbire da quello che faccio e metterci dentro tutto quello che ho. E ho anche necessità di stare con i miei figli costruendo con loro una relazione solida, serena, di fiducia oltre che godere della loro crescita e dei momenti più importanti della loro vita. Cercare di spiegare quanto queste cose siano potenzialmente in conflitto fra loro è un’impresa, ma ci proverò.

Partiamo dalle cose facili. Questo non è un paese per mamme. O meglio, non è un paese per genitori. E’ la mentalità stessa del mondo del lavoro inteso in senso tradizionale che li rende concetti contrastanti. E cosa penso di questo tema magari ve lo faccio sapere in altro contesto. Sta di fatto che molto spesso si deve scegliere fra l’essere un genitore attento e presente e una vita professionalmente molto appagante. Non so quanti articoli mi sono capitati sotto agli occhi ultimamente nei quali si dibatteva di quanto in Italia sia presente una forte diseguaglianza di ruoli fra uomini e donne sul tema della gestione della casa e dei figli. Così come impari è, ancora, il trattamento economico in azienda fra uomo e donna a parità di ruolo e anzianità. Roba da farsi venire la pelle d’oca!

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Ma, c’è un ma. Credo che le prime a creare uno standard di aspettative quasi irraggiungibile, soprattutto sul tema figli, siamo proprio noi mamme. E non posso fare a meno di chiedermi perché succeda. Sicuramente ci sono dati obiettivi quali un retaggio culturale radicato che vede ancora le donne al centro della vita domestica. In molti casi la scarsa disponibilità dei nonni ad oggi impegnati al lavoro fino a tarda età o assorti da impegni personali legati alle molteplici possibilità che il mondo offre. Soluzioni di qualità per i bambini sono difficilmente reperibili se non a prezzi esorbitanti e il mondo del lavoro non è sufficientemente elastico da andare incontro alle necessità di una famiglia con bambini piccoli.

Ma il punto non è neanche questo. Togliendo le mamme che trovano nella maternità e nel seguire i figli h24 un totale appagamento dei propri desideri (a loro va tutta la mia ammirazione), cosa succede quando la necessità e voglia di essere madre stride fortemente con i tempi e l’impegno mentale di una professione impegnativa?

Sensi di colpa, nervosismo, incapacità di fermarsi, rincorsa del tempo, recriminazioni. Paura. Stanchezza. Io sono una privilegiata, nel senso che ho avuto e ho la possibilità di gestire il mio tempo e di dedicarmi, anche, ai miei figli. Ma quando ho avvertito di nuovo la necessità e la grandissima voglia di ritrovare la donna che ero prima di diventare madre, in senso professionale, ho iniziato a combattere una vera e propria guerra. Nei confronti di me stessa in primis, con il mondo del lavoro in seguito e con lui ogni volta che si sono aperte opportunità che avrebbero significato una presenza in casa significativamente ridotta.

PorscheRN48Negli ultimi tre anni non mi sono mai fermata, ho indirizzato i cambiamenti della mia vita da mamma verso un equilibrio che mi consentisse di restare in contatto con la donna che sono oltre tutti i ruoli che mi sono scelta. E che amo. Ma non mi basta. E mi rendo conto che dover ammettere che esiste tutto un mondo che appartiene solo a me senza il quale non riesco a sentirmi completa… è difficilissimo. Guardo spesso i miei bambini e mi chiedo come sia possibile desiderare anche altro da loro. Ma è così. Sono la parte migliore di me, sono dentro di me, sono l’amore della mia vita. Ma sono persone prima di tutto esattamente come lo sono io e non mi appartengono così come io non appartengo a loro. Il legame fra una madre e i propri figli è qualcosa che non si può spiegare, lo si sente, lo si vive, lo si respira in tutti gli aspetti della vita. Eppure c’è un punto in cui finisce il noi e inizia l’io. Questo per me ormai è chiarissimo.

Ma come gestirlo? Da un punto organizzativo per iniziare e poi passando attraverso tutte le strettissime maglie delle paranoie e della preoccupazione di non dargli abbastanza? Come organizzare giornate di lavoro intenso, a volte fuori Roma, sapendo che è principalmente affidata a me l’organizzazione delle loro giornate? Come fare a stare in più posti contemporaneamente? Come fare a concentrarsi su qualcosa quando guardi di continuo l’orologio? E soprattutto come superare il senso di colpa dell’occuparti di te stesso prima che di loro, anche solo per qualche ora?

Dov’è il limite obiettivo, se esiste, a quello di cui effettivamente hanno bisogno e oltre al quale non bisogna andare per non mettere a rischio la loro e la nostra serenità? E’ giusto che i figli vengano sempre prima di tutto? E se è così perché questo concetto vale spesso più per un genitore che per l’altro?

La risposta che mi sono data è che una risposta non c’è. Ci sono le decisioni che si prendono ogni giorno e che inevitabilmente hanno conseguenze. E il metro per pesarle è strettamente personale. Quello di cui rimango convinta è che la responsabilità più grande che abbiamo rimane quella nei confronti di noi stessi, paradossalmente proprio per preservare la libertà dei nostri figli, sui quali non possiamo rischiare di far pesare i rimpianti delle nostre scelte. Essere dei buoni genitori è una partita che giochiamo ogni giorno in modo diverso, trovando insieme ai nostri bambini la strada. Sbagliando, recuperando, costruendo momenti importanti. Prendendoci cura di noi stessi per insegnare a loro ad averne di sé.

DSC_8361E’ necessario imparare a delegare quando possibile, senza che questo ci faccia sentire genitori peggiori. Possiamo imparare a chiedere e a lasciarsi aiutare. Mi rendo conto spesso, guardando me stessa attraverso le riflessioni che faccio sulle vicende delle mamme intorno a me, che i nostri piccoli sono in certi casi il muro dietro al quale ci nascondiamo per non affrontare la necessità di cambiamento quando bussa alla nostra porta. Voglio pensare che fra me e loro ci sia ormai un legame che vada oltre alla quantità di tempo, una sicurezza che si legge in uno sguardo o nel tono della voce. Quello che vorrei è percepire in loro la stessa necessità di libertà che sento io, accompagnata dalla certezza dell’amore che abbiamo l’uno per l’altra, dalla certezza di trovarmi a loro fianco sempre, anche quando fisicamente sono lontana.

Sto imparando a fare questo mestiere in questo momento, perché è importante per me e perché le conseguenze del non farlo in questo momento per me sarebbero inaccettabili.

Nonostante questo, rifacendomi ad un bellissimo articolo letto qualche giorno fa, voglio ripetermi che sto facendo, come mamma, un buon lavoro.

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